Paolo Marabini
Hanno trovato il suo corpo in casa, probabilmente morto sette mesi prima. Che fine triste, potremmo dire. Anche se poi le fini sono tutte tristi. Del resto, Pat – all’anagrafe Pier Attilio Trivulzio – aveva speso tutti i suoi 83 anni di vita da uomo sostanzialmente solitario. Oltre che libero.
Ai tempi eccitanti e per me assai formativi di Bergamo Oggi – i ruggenti anni Novanta – Pat fu a lungo mio compagno di banco nella redazione sportiva, tra quelle quattro mura anguste ma che trasudavano entusiasmo e operosità. Era un compagno decisamente spassoso, oltre che un cronista scrupoloso e appassionato. I motori, automobilismo soprattutto, erano il suo pane. E siccome viveva di collaborazioni – un’assunzione sarebbe stata l’antitesi della sua scelta di essere un uomo libero – sgobbava come un matto, per mettere insieme ogni mese una specie di stipendio.
Corrispondente quasi quotidiano per l’Ansa su tutto ciò che riguardava l’autodromo di Monza, scriveva per un sacco di giornali, saltando dalla Formula 1 ai kart, dalle pagine di utenza alla MotoGP, anche se ai tempi non si chiamava ancora così. Era tutto fuorché ambizioso e schizzinoso, il buon Pat. Fosse il Corsera o Latina Oggi, per lui era lo stesso. Fosse un trionfo dell’amato Ayrton Senna o un rally in una landa sconosciuta, per lui era lo stesso.
Spesso pranzavo con lui, in qualche trattoria per muratori dove spendevamo le classiche “diecimila lire pranzo completo”: io giovane con pochi soldi in tasca, lui sempre strapiantato, non potevamo permetterci di più. Un sacco di aneddoti mi rievocano la sua figura. E due, in particolare, la legano a quella di un altro collega che, ahimè, non è più tra noi. Ennio Arengi, la cui ironia toccava livelli spesso imbattibili, coniò per lui un meraviglioso nickname: Pistone.
E un giorno gli giocò un tiro mancino. In coda a una pagina di motori curata interamente dal buon Pat detto Pistone, sostituì per scherzo la dicitura “Pagina a cura di Pier Attilio Trivulzio” con una esilarante “Pagina a cura del Valente Pierino”. Lezione numero 1 in chi lavora nei giornali: mai scrivere stronzate in spazi vuoti pur sapendo che poi entrerà la parola o la frase corretta, perché la buccia di banana prima o poi ti si infila sotto il piede. E infatti Ennio si dimenticò di correggere, così l’indomani i lettori si chiesero chi fosse mai questo Valente Pierino. Fu l’unica volta in cui vidi Pat detto Pistone perdere realmente le staffe.
Sempre l’impareggiabile Ennio amava anche prenderlo di mira quando, al telefono, Pat detto Pistone dettava ai dimafonisti dell’Ansa i suoi pezzi. Non appena attaccava con il classico inizio “Monza trattino”, Ennio passava vicino al telefono e simulava a gran voce il rumore di un’auto. Inevitabile la risata generale, con Pat detto Pistone che doveva interrompersi e scusarsi con il dimafonista in questione.
Età indecifrabile, era un tipo decisamente stravagante. Spesso, avendo mille pezzi da scrivere, tirava tardissimo e così dormiva poche ore, rannicchiato in qualche modo, su un divanetto che c’era all’ingresso del giornale, per poi svegliarsi prima dell’arrivo alle 8 di mattina del solerte e puntualissimo centralinista, il mitico Signor Corti.
Non sapevamo nulla della sua vita privata, ma è molto facile che ai tempi – visto che usava anche l’indirizzo del giornale come recapito per tutta la sua corrispondenza – non avesse una vera e propria fissa dimora, per cui quel divanetto gli faceva gran comodo.
Un giorno arrivò in redazione accompagnato da una giovanissima sventola bionda e ce la presentò come se lui fosse una sorta di suo pigmalione. “Lei è Federica, farà carriera”. Era Federica Panicucci e, in effetti, ci prese.
Ma l’episodio che mi ricorda più di ogni altro Pat detto Pistone risale al Primo maggio 1994: il giorno della morte di Ayrton Senna. Lui era a Imola, al servizio delle solite svariate testate per cui collaborava. E l’indomani sparì letteralmente dalla circolazione.
I primi giorni non facemmo caso alla sua assenza, e nemmeno ci allarmammo se non rispondeva al telefono. Ma poi, trascorse un po’ di settimane, cominciammo a preoccuparci. Scoprimmo, in seguito, che Senna era per lui una sorta di mito e quella tragedia lo aveva prostrato. Ma arrivammo a pensare che Pat detto Pistone fosse morto. Al giornale arrivavano lettere, raccomandate, fatture e bollette da pagare, finanche gli assegni di alcune sue collaborazioni. E quando lo cercavano al telefono, noi non sapevamo cosa rispondere. Insomma, tergiversavamo, depistavamo.
Poi un giorno – era passato quasi un anno e mezzo – comparve improvvisamente. Come se nulla fosse successo, si affacciò alla porta della redazione: “Buongiorno, dove posso sedermi?”. Ecco, immaginatevi la nostra faccia.
Sfortuna volle che, di lì a poche settimane, “Bergamo Oggi” chiuse i battenti. Le strade di un po’ tutta quella meravigliosa Armata Brancaleone si separarono. Qualcuna si ricongiunse, qualcun’altra no. Pat detto Pistone sparì di nuovo. Anni dopo, quando già da un bel po’ lavoravo alla Gazzetta dello Sport – sarà stato una quindicina d’anni fa – lo intercettai in una telefonata con un collega della redazione motori. Lo salutai con la sorpresa tipica di chi non si sente qualcuno da tanto tempo. E lui, alla sua maniera, replicò come se invece ci fossimo salutati il giorno prima.
Ciao Pat detto Pistone. Ma anche Valente Pierino non era male. E salutaci Ennio: vedrai che anche lassù te ne combinerà qualcuna.