Paolo Marabini
Che dire, una bellissima serata, due ore di meravigliosi ricordi dedicati a Felice Gimondi per inaugurare il carnet degli eventi che si succederanno alla neonata Biblioteca dello Sport Nerio Marabini a Seriate.
C’erano Davide Boifava, Gibì Baronchelli, Claudio Corti, Flavio Giupponi, Ivan Gotti, Giuseppe Guerini, Mirco Gualdi, Gianluigi Stanga, Ildo Serantoni e don Mansueto Callioni, ognuno a raccontare un proprio pezzetto di vita in comune con quella del grande campione bergamasco.
Il tutto con il doveroso cappello di Norma, la primogenita di Felice, che ha espresso tutto il proprio orgoglio di figlia e di testimone del grande esempio che è stato il suo papà.
Non è poi mancato qualche momento di commozione, ricordando il biker Dario Acquaroli, lanciato proprio da Gimondi, che è salito in cielo il giorno di Pasqua.
E poi fotografie, immagini video, qualche radiocronaca d’epoca, l’ultima maglia rosa vinta nel 1976…
Un grazie ai 100 partecipanti, soprattutto a Philipp Gatter, arrivato in auto da Stoccarda per partecipare all’evento del suo mito. Un grazie a Federico Bassani, Michele Maraviglia, Silvano Pelucchi e don Andrea Pedretti per la preziosa collaborazione. Ma comunque a tutti, che hanno onorato con la loro presenza la memoria anche di Nerio Marabini, colui che scrisse della prima vittoria di Gimondi da allievo, nel 1960, e al quale è intitolata la biblioteca.
Norma Gimondi
“Per me Felice Gimondi è sempre stato un papà, prima che un campione di ciclismo. Soprattutto è stato un faro, un modello, un esempio da imitare. Per le sue straordinarie qualità umane. Era un uomo buono. Un uomo tutto d’un pezzo, che faceva dell’etica del lavoro il suo credo. Mi ha insegnato a non mollare mai, a rialzarmi dopo ogni caduta. E ho adorato l’amore che ha sempre nutrito nei confronti di mia madre, sino all’ultimo dei suoi giorni. Il rapporto che c’era tra loro due era qualcosa di meraviglioso”.
Beppe Guerini
“Ero ancora molto piccolo quando Gimondi correva, per cui ho ricordi molto vaghi delle sue imprese sportive. Però ricordo benissimo cosa succedeva quando arrivava lui nel dopocorsa di qualche gara o in occasione di eventi pubblici. La gente lo prendeva d’assalto, attirava più lui da ex che noi corridori, protagonisti del momento. E lì capivi meglio la sua grandezza e la portata delle sue vittorie”.
Mirco Gualdi
“Gimondi aveva un carisma incredibile, ti metteva quasi in soggezione tanto era carismatico. Quando ho lavorato in Bianchi, succedeva che lui arrivasse in azienda e per noi tutti, in ufficio, era come trovarci davanti a un monumento. Aveva una sorta di scia magnetica che lo accompagnava. Usava poche parole. Ma nessuna era sprecata”.
Flavio Giupponi
“Sono uno dei tanti ragazzini bergamaschi che si sono avvicinati al ciclismo grazie ai successi di Gimondi. Per noi era un idolo. E ha segnato la mia carriera anche per un altro motivo. A un certo punto la mia bicicletta era diventata inadeguata, ma i miei genitori non potevano permettersi di comprarmene una nuova. Fu proprio Felice a procurarmela, se non ricordo male era una Chiorda.
Sognavo di vincere il Giro d’Italia come era riuscito a lui. Avrei potuto farcela nell’89, ma annullarono la tappa che arrivava a Santa Caterina Valfurva e mi fu tolta una grande occasione per recuperare il distacco che avevo da Fignon. Non l’ho mai digerita”.
Ivan Gotti
“Immaginate cosa poteva significare per un ragazzo di San Pellegrino essere nato a pochi chilometri da Sedrina, il paese di un campione come Felice… E poi io ho iniziato a correre nell’US Paladina, la squadra del paese dove Felice era andato a vivere. Uscivo in bici e lo vedevo così spesso… bastava quello e le mie forze si moltiplicavano. È stato per me una grande fonte di ispirazione. Non ci avevo mai fatto caso che ho vinto il mio primo Giro nel 1997, cioè a 30 anni dal primo trionfo rosa di Gimondi. E il secondo nel ‘99, a 30 anni dal suo secondo. E che ho indossato la maglia gialla nel ‘95, a 30 anni dal suo Tour…”.
Claudio Corti
“Sì, Felice mi aveva cercato, per andare con lui alla Bianchi. Sarebbe stato il suo ultimo anno tra i pro’, e il mio primo. Avevo vinto 22 corse tra i dilettanti, ero il campione del mondo… mi lasciai tentare dall’offerta di un’altra squadra. Sbagliai, ma Felice non mi ha fatto mai pesare quel no.
A scuola avevo come professore di educazione fisica il mitico Alfredo Calligaris, che aveva seguito a lungo Gimondi. Ricordo che un giorno, per stimolarmi, mi disse: ‘In vista della Roubaix, facevo allenare Felice sui rulli sotto la doccia’. Bah, non so se fosse vero…”.
Davide Boifava
“Io c’ero in quel Giro del ‘69, quello dell’espulsione dalla corsa di Eddy Merckx a Savona per doping. Come noto, l’indomani Felice si rifiutò di partire da Savona con la maglia rosa, perché non gli apparteneva, era di Eddy. Questo vi dice tutto dello spessore morale di Felice.
Era un fenomeno, io dico sempre che nel secondo dopoguerra ci sono stati quattro fuoriclasse: Merckx, Hinault, Coppi e Bartali. Ma Gimondi veniva subito dopo.
Nel 1972 mi volle per correre insieme a lui il trofeo Baracchi. Fu per me un grande privilegio, un attestato di stima che non ho mai dimenticato. Finimmo secondi. Per forza, vinse Merckx, insieme a Swaert”.
Gianbattista Baronchelli
“Sì, quel giorno al Giro ‘76 ci tenevo molto a vincere a Bergamo, ma prima di lanciare la volata Felice spostò un po’ il gomito. Intendiamoci, nulla di davvero proibito, di evidente irregolarità. Ma fu sufficiente per farmi perdere l’attimo giusto. Diciamo malizia contro inesperienza. Forse avrei dovuto correre anche io un po’ in pista.
Felice? È stato un esempio per tutti noi che siamo venuti dopo. Una volta, nel ‘77, ero furibondo con Moser, e lui mi fermò giusto in tempo. Ero già pronto a scendere dalla bici per mettere le mani addosso a Francesco… Ci pensò lui a fare da paciere. Gliene sono ancora grato”.